7a DOMENICA ordinaria (anno C)

Konstantin Dmitrievič Flavickij, (1830-1866), Martiri cristiani nel Colosseo,1862, Olio su tela,

Museo statale russo, San Pietroburgo.

L’arte

Flavickij ricevette la sua educazione artistica all’accademia imperiale delle arti, come studente

di Fëdor Antonovič Bruni. Si laureò nel 1855. viaggiò in Italia per studio tra il 1856 e il 1862,

come pensionato dell’Accademia. L’anno successivo, venne riconosciuto come un membro

onorario dell’Accademia per il grande dipinto I Martiri cristiani nel Colosseo, realizzato a Roma e

qui riprodotto. Morì all’età di trentacinque anni a causa dalla tubercolosi. Nel 1936 i suoi resti

furono trasferiti nella necropoli dei Maestri dell’arte del monastero di Aleksandr

Nevskij di Leningrado. Con la sua produzione artistica Konstantin Flavitsky aderì alle tradizioni

classiche, secondo principi ereditati da K.P. Bryullov. Il brano evangelico di questa domenica

viene commentato con l’opera più famosa di Flavickij, e guida a comprendere che la sequela di

Gesù non è possibile con le nostre sole forze. Ciò che i martiri di ogni epoca riuscirono a

compiere è insieme un dono e una testimonianza. Gesù ha amato i nemici fino al punto da essere

da loro crocifisso (“perdona loro perché non sanno…”). Anche in quel momento estremo ha

mostrato un amore incondizionato. È facile infatti amare le persone che ci amano e che ci

benedicono; molto più difficile amare le persone che non ci sono particolarmente simpatiche o

non ci piacciono. Ma sono proprio questiche Gesù ci chiede di amare. Nel prossimo tempo di

Quaresima, chiediamo la grazia di sollevarci al di là di quello che pensiamo impossibile.

Nel tempo delle persecuzioni romane primi cristiani hanno vissuto la testimonianza al Vangelo in

modo sanguinoso. L’artista Flavitsky raffigura i cristiani nel momento più tragico in cui stanno

per essere condotti fuori dal carcere verso l’arena romana del Colosseo. Sono tutti riuniti nei

corridoi e ora le guardie aprono i portoni e spingono i cristiani fuori, strappano i bambini dalle

loro madri per darli in pasto ai leoni o per ucciderli con qualsiasi crudeltà, per il divertimento

dei romani.Pur nella disperazione la forza morale di quei cristiani è in piena evidenza. L’uomo

sulla sinistra che regge una croce e incoraggia i confratelli ad affrontare la morte in nome di

Cristo. Quella piccola croce in controluce è uno dei primi particolari che notiamo. Bambini,

donne e uomini cristiani spargeranno il sangue per la loro fede. Hanno pregato per coloro che li

perseguitavano e hanno messo in pratica in modo molto tangibile la lettura del Vangelo di oggi.

“Amate i vostri nemici e pregate…”: Gesù suggerisce che pregare per coloro che ci perseguitano

significa fare qualcosa che ha una qualità divina. È dare espressione all’amore di Dio che va verso

tutti, anche verso coloro che pensiamo lo meritino meno.

Intro

Il Vangelo ci propone oggi la rinuncia alla vendetta e alla violenza. Al loro posto, Gesù impone ai

suoi discepoli il principio della non resistenza al male e il comandamento dell’amore dei propri

nemici. È come se ci dicesse: non si trionfa sul male con il male; non si trionfa sulla violenza con

la violenza. Il male e la violenza sono vinti quando li si lascia dissolvere, senza rilanciarli con una

risposta analoga. L’odio non può essere distrutto che dall’amore che lo subisce gratuitamente.

Non è vero che noi non possiamo evitare, a queste parole, un movimento di rifiuto? Non hanno

l’apparenza della follia, abituati come siamo a vedere trionfare il potere e l’aggressività dei

forti, mentre il male si accanisce sui deboli e i disarmati? Questi ordini non sarebbero il frutto

delle divagazioni di un sognatore che non ha l’esperienza della crudeltà spietata del nostro

mondo? Di Gesù si può dire qualsiasi cosa, tranne che non abbia conosciuto la cattiveria. Egli ha

conosciuto bene che cosa voleva dire essere detestato, spogliato, percosso e ucciso. In realtà, è

il solo uomo che può dire quello che noi abbiamo appena ascoltato senza la più piccola

leggerezza, perché in lui, e in lui solo, queste parole furono verità. Egli ha amato coloro che lo

odiavano, ha dato più di quanto non gli fosse stato tolto, egli ha benedetto coloro che lo

maledicevano. Solo così questa condotta viene giustificata. Non è il prodotto di una saggezza

profana, che implicherebbe una irresponsabilità criminale. Non è qui un politico o sociologo di

questo mondo che parla. Colui che parla ha superato il male attraverso la sofferenza. Ed è per

questo che la sola giustificazione possibile di questi comandamenti di Gesù è la sua croce. Solo

colui che dice “sì” alla croce di Cristo può obbedire a tali precetti e trovare nell’obbedienza il

compimento della promessa contenuta in essi: il bene trionfa sul male attraverso l’amore.

Il vangelo

Lc 6,27-38 Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano,

benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote

sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica.

Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.

E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi

amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del

bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo

stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i

peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri

nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e

sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.

Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.

Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e

sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà

versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Le parole

Il fondamento della vita cristiana consiste nel “confidare” solo in Dio e non nelle ricchezze o

nelle potenze di questa terra: oggi la Paola di Dio ci indica il secondo passo che è anche più

impegnativo e più alto.

Il Vangelo di Gesù è: “Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite

coloro che vi maledicono…”. È il comandamento dell’amore che perdona, che è imitazione

dell’amore generoso del Padre celeste, che “rende figli dell’Altissimo”, che “è benevolo verso gli

ingrati e i malvagi”.

Un insegnamento sintetico sta nella frase: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è

misericordioso”. Con l’aggiunta: “Non giudicate… non condannate; perdonate…”, e la promessa

del premio di Dio a chi si comporterà così. In altre parole: la vita cristiana è fatta di amore, di

benedizione, di perdono: è questa la strada per essere noi, a nostra volta, amati, benedetti e

perdonati da Dio.

Come: È significativo quel “come” a cui si aggiunge la seconda, “così”: “Come volete che gli

uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro”. È la premessa dell’insegnamento

fondamentale: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”. “Come” il Padre: è

possibile? Con le sole forze umane, no; con la grazia e la forza di Dio, sì. È il senso vero e pieno

della vita cristiana: essere “come” Dio, nell’amore, nel perdono, nella vita. Un cammino che non

può e non deve fermarsi mai.

La teologia (H.U. von Balthasar)

1 Sam 26, 2. 7-9.12-13. 22-23; 1 Cor 15, 45-49; Lc 6,27-38

I testi della celebrazione odierna parlano della generosità. Già i filosofi e i moralisti pagani la

conoscevano e l’ammiravano, nell’Antico Patto essa riceve una fondazione più profonda, in

Cristo, come amore del nemico, diventa un’imitazione di Dio stesso.

«Davide prese la lancia e la brocca d’acqua». Davide (secondo la prima lettura) aveva

l’occasione di colpire il suo nemico Saul nel sonno, e il suo compagno Abisai lo consiglia in

questo senso secondo la logica della guerra. Ma Davide non lo fa, per generosità certamente,

ma con la motivazione: «Chi ha mai alzato la mano contro il consacrato del Signore ed è rimasto

impunito?». La paura davanti al consacrato a Dio lo muove a questa generosità che non usa

davanti ad altri nemici, morendo egli dà infatti a suo figlio Salomone l’istruzione di vendicarsi

dei suoi nemici.

2. «Siate misericordiosi come il vostro Padre lo è». Gesù procede ulteriormente: «Amate i vostri

nemici, pregate per quelli che vi maltrattano». Non si tratta più di azioni esterne di generosità,

ma di un sentimento del cuore, che ora viene espressamente eguagliato al sentimento di Dio.

«Poiché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi». Ed egli lo è per una bontà superiore al

mondo che trova motivazione esclusivamente teologale, come lo dimostra la dedizione del Figlio

suo per i peccatori, per i «nemici» (Rm 5,10). Gesù supera espressamente la limitata generosità

umana (che riama coloro che amano, e fa doni aspettandone il contraccambio) verso quella

assoluta e divina, che dona il suo amore a coloro che ora lo odiano e disprezzano. Gesù può

osare questo perché egli stesso è il dono di Dio a tutti i suoi nemici, un dono e non un amore

calcolatore. Gesù rende tutti coloro che sono dal lui amati dei «consacrati a Dio». Ciò che fu

Saul per David ora lo è per noi, e ogni uomo come noi, perché è stato unto dalla morte

espiatrice di Gesù. Così l’ammirata virtù umana (tale fu per la filosofia pagana) diventa qualcosa

di cristianamente quotidiano, perché il cristiano sa di essere frutto della generosità divina. E

ciascuno lo è, dunque non si tratta di far pesare una presunta superiore generosità, ma è giusto

testimoniare con la vita che tutti dobbiamo noi stessi alla generosità di Dio.

3. «Quale il celeste così anche i celesti». Nella seconda lettura la posizione e le virtù terrene e

celesti vengono di nuovo contrapposte. L’uomo “dal basso”, rimane “naturale”, in quanto può

considerarsi come la più alta fioritura del cosmo, un «essere vivente» terreno, a cui sono state

impresse nella carne le norme valide della natura: un amore ordinato comincia dal proprio io. Ed

essendo limitato ai beni del mondo, la ricerca ordinata del bene personale è il primo

comandamento (cfr. Ap 6, 5b-6). Ma il primo Adamo (quello “terrestre”, che compare per

primo), viene sorpassato dal secondo, quello e celeste. Questi, venendo dal Dio infinito, non

conosce le barriere e le norme della finitezza e può prodigare se stesso e l’amore divino

illimitatamente. Cristo ha lasciato ciò come testamento ai suoi «imitatori», ai cristiani, che sono

stati formati secondo la sua immagine, per lo stesso dono.

Esegesi (Enzo Bianchi)

«Amare gli amici lo fanno tutti; i nemici li amano soltanto i cristiani.» Queste parole di

Tertulliano (Ad Scapulam 1,3), che vogliono esprimere la differenza cristiana, vertono

significativamente sull’amore per i nemici. Questo appare come vera e propria sintesi del

Vangelo: se tutta la Legge si sintetizza nel comando dell’amore di Dio e del prossimo (Marco

12,28-33; Romani 13,8-10; Giacomo 2,8), la vita secondo il Vangelo trova il suo compimento

nelle parole e nei gesti di Gesù che indicano nell’amore del nemico l’orizzonte della prassi

cristiana. Dice infatti Gesù: «Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano» (Luca

6,27; cfr. Luca 6,28-29.35; Matteo 5,43-48) e tutta la sua vita – fino al momento della lavanda

dei piedi anche a Giuda, colui che si era fatto suo nemico; fino alla croce, luogo del suo amore

«fino alla fine» per i suoi (Giovanni 13,1); fino alla preghiera per i suoi carnefici mentre lo

crocifiggevano (Luca 23,33-34) – attesta questo amore incondizionato rivolto anche al nemico. Il

cristiano, chiamato ad assumere il sentire, il pensare, il volere di Cristo stesso (cfr. Filippesi

2,5), si trova dunque sempre confrontato con questa esigenza. Ma occorre chiedersi: è

realmente possibile amare il nemico, e amarlo mentre manifesta la sua ostilità e inimicizia, il

suo odio e la sua avversione? È umanamente possibile tale scandalosa simultaneità? L’esperienza

infatti ci rivela che il fascino per l’assolutezza dell’amore del nemico svanisce in assoluta

dimenticanza e diviene incapacità di dargli consistenza esistenziale di fronte alle precise e

concrete situazioni di inimicizia. E forse già questo rappresenta un primissimo, e umanamente

fondamentale, momento del cammino verso l’amore del nemico. Inoltre il cristiano è portato dal

Vangelo a vedere in se stesso il nemico amato da Dio e per cui Cristo è morto: questa è

l’esperienza di fede basilare da cui soltanto potrà nascere l’itinerario spirituale che conduce

all’amore per il nemico! Scrive Paolo: «Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre

eravamo peccatori e nemici, Cristo è morto per noi» (cfr. Romani 5,8-10). Su questa esperienza

di fede occorre innestare la progressività di una maturazione umana che conduce ad acquisire il

senso positivo dell’alterità, la capacità dell’incontro, della relazione e quindi dell’amore. Già

l’Antico Testamento, quando invita l’israelita ad amare il prossimo come se stesso, propone una

sorta di itinerario: «Io sono il Signore, non coverai odio verso tuo fratello; rimprovera

apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui. Non ti vendicherai e

non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io

sono il Signore» (Levitico 19,17-18). Anzitutto è richiesta l’adesione di fede a colui che è il

Signore, quindi l’israelita è chiamato a impedirsi sentimenti di odio (atteggiamento negativo),

poi a correggere colui che fa il male (atteggiamento positivo) proibendosi di farsi vendetta da sé

(atteggiamento negativo) e amando così il suo prossimo come se stesso (atteggiamento positivo).

All’amore si arriva attraverso un cammino, un esercizio. –

L’amore non è spontaneo: esso richiede disciplina, ascesi, lotta contro l’istinto della collera e

contro la tentazione dell’odio. Così si perverrà alla responsabilità di chi ha il coraggio di

esercitare una correzione fraterna denunciando «costruttivamente» il male commesso da altri.

L’amore del nemico non va confuso con la complicità con il peccatore! Anzi, proprio la libertà di

chi sa correggere e ammonire chi compie il male nasce dalla profondità della fede e da un

amore per il Signore che sono la necessaria premessa per l’amore del nemico. Chi non serba

rancore e non si vendica, ma corregge il fratello, è infatti anche in grado di perdonare: e il

perdono è la misteriosa maturità di fede e di amore per cui l’offeso sceglie liberamente di

rinunciare al proprio diritto nei confronti di chi ha già calpestato i suoi giusti diritti. Chi perdona

sacrifica un rapporto giuridico in favore di un rapporto di grazia! Anche Gesù, quando chiede di

amare il nemico, immette il credente in una tensione, in un cammino. Dallo sforzo per superare

sempre di nuovo la legge del taglione, cioè la tentazione di rendere il male che si è ricevuto, il

credente deve pervenire a non opporsi al malvagio, a contrapporre al male l’attivissima passività

della non violenza, fidando nel Dio unico Signore e Giudice dei cuori e delle azioni degli uomini.

Anzi, mossi dalla convinzione che il nemico è il nostro più grande maestro, colui che può

veramente svelare ciò che abita il nostro cuore e che non emerge quando siamo in buoni

rapporti con gli altri, i credenti possono obbedire alle parole del loro Signore che invitano a

porgere l’altra guancia, a devolvere anche la tunica a chi vuole toglierci il mantello…

Ma perché tutto questo sia possibile è indispensabile ciò che sempre è ricordato dai Vangeli

accanto al comando di amare i nemici, e cioè la preghiera per i persecutori, l’intercessione per

gli avversari: «Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori» (Matteo 5,44). Se non si

assume l’altro – e in particolare l’altro che si è fatto nostro nemico, che ci contraddice, che ci

osteggia, che ci calunnia – nella preghiera, imparando così a vederlo con gli occhi di Dio, nel

mistero della sua persona e della sua vocazione, non si potrà mai arrivare ad amarlo! Ma deve

essere chiaro che l’amore del nemico è questione di profondità di fede, di «intelligenza del

cuore», di ricchezza interiore, di amore per il Signore, e non semplicemente di buona volontà!

Nelle ultime vicende politiche del nostro Paese, non lo si può negare, abbiamo assistito a un

conflitto personalizzato tra soggetti politici: l’avversario è stato caricato di inimicizia e rancore,

diventando così il nemico. È stata un’epifania di quel che si vive e si respira oggi nella nostra

società: siamo sempre più arrabbiati, rancorosi e facilmente inventiamo dei nemici. Sì, perché

accade che “ci facciamo dei nemici”, non solo “abbiamo nemici”. Come si inventano i nemici?

Anzitutto con la parola, quando ci esprimiamo su un altro con diffidenze che diventano presto

accuse e quindi calunnie. Percorriamo la strada dell’inimicizia perché percepiamo l’altro in

competizione con noi, perché ci sembra un ostacolo alla nostra autoaffermazione, perché

l’invidia o la gelosia ci spingono a rimuoverne la presenza.

Il rancore e l’aggressività che sono nell’aria, che ammorbano i talk show e i social, sono molto

più contagiosi del virus che cerchiamo di combattere con uno sforzo di responsabilità collettiva.

La permeabilità al “così fan tutti” ci spinge a cercare i responsabili, a individuare quanti, vicini o

lontani ma sempre ben definiti, possono essere percepiti e quindi classificati come nemici, “i

miei nemici”, quelli che mi fanno del male e mi ostacolano.

Allora non c’è più un riconoscimento dei legami vissuti, dell’essere fratelli o parenti, amici o

amanti. L’odio domina, ma l’affermazione che si dovrebbe avere il coraggio di fare – “Io odio” –

viene proiettata sull’altro e trasformata in “Mi odia”. Questo capovolgimento di prospettiva mi

autorizza a sentirlo come un nemico e a trattarlo con inimicizia.

nfine, soprattutto nei gruppi, si assume la logica del capro espiatorio.

In particolare, chi detiene un certo potere e può influenzare gli altri cerca di riversare su chi gli

appare come un ostacolo o un rivale il rancore e la responsabilità dei mali che affliggono il

gruppo. Così si scarica l’odio sull’altro, si rende più saldo il proprio potere e si rimuovono dubbi

e domande. Eppure il nemico, presenza che non può scomparire dall’esperienza umana,

potrebbe essere occasione di insegnamento e di lezione. Ha scritto il Dalai Lama: “I nostri nemici

sono i nostri più grandi maestri. Di fronte a essi possiamo verificare il nostro rispetto e la nostra

accoglienza dell’altro. Possiamo interrogarci: ci siamo fatti dei nemici oppure i nemici sono

davanti a noi per rivelarci le nostre debolezze e renderci più capaci di bontà?”. Anche abba

Zosima chiedeva ai suoi monaci di considerare il nemico come un medico che guarisce

dall’orgoglio, dalla vanagloria e dall’arroganza. E non posso certo dimenticare Gesù e il suo

comandamento radicale: “Amate i vostri nemici e fate del bene a quelli che vi odiano”.

Ma si intenda bene: amare è una cosa seria, un’operazione che richiede intelligenza e non

permette di essere remissivi. Ci si disarma perché il male lo si vince rompendo la catena del

male. Se si pratica l’”occhio per occhio”, tutti diventiamo ciechi; se invece immettiamo nell’aria

perdono, amore e tenerezza, allora saremo contagiati da questo buon virus.

I Padri

« Strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino »

Quando lo Spirito profetico annuncia il futuro, ecco come parla: «Da Sion uscirà la legge e da

Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli.

Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada

contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra» (Is 2,3). Queste parole si

sono realizzate in un modo molto convincente . Dodici uomini sono andati via da Gerusalemme

per percorrere la terra. Erano uomini semplici e non sapevano parlare. Eppure, in virtù della

potenza divina, hanno annunciato a tutti gli uomini che erano stati mandati da Cristo per

insegnare a tutti la parola di Dio. E noi, che un tempo non sapevamo far altro che ucciderci l’un

l’altro, non soltanto non combattiamo più i nostri nemici, ma, per non mentire, né ingannare i

nostri giudici, confessiamo Cristo con gioia e moriamo martiri… Ascoltate ciò che è stato detto

riguardo a coloro che avrebbero annunciato la sua venuta. Parla il re profeta Davide, ispirato

dallo Spirito profetico: «Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne

trasmette notizia. Non è linguaggio e non sono parole, di cui non si oda il suono. Per tutta la

terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro parola» (Sal 18, 2) … In un’altra

profezia, lo Spirito profetico annuncia allo stesso Davide: «Da tutta la terra, cantate al Signore

un canto nuovo, annunciate di giorno in giorno la sua salvezza… dite tra i popoli il Signore regna»

( Sal 95) Davide ha fatto questa profezia millecinquecento anni prima che Cristo fatto uomo

fosse crocifisso; ora prima di lui, nessuno è stato crocifisso per la salvezza delle nazioni, e

neanche dopo di lui. Invece, nostro Gesù Cristo è stato crocifisso, è morto, è risuscitato, è salito

in cielo dove regna e questa buona notizia, sparsa nel mondo intero dagli apostoli, è la gioia di

coloro che aspettano l’immortalità che egli ha promesso.

San Giustino

Sia l’amore a ispirare le nostre azioni

708 8. Dicemmo questo in riferimento a fatti simili. In riferimento a fatti diversi troviamo un

uomo che infierisce per motivo di carità ed uno gentile per motivo di iniquità. Un padre

percuote il figlio e un mercante di schiavi invece tratta con riguardo. Se ti metti davanti queste

due cose, le percosse e le carezze, chi non preferisce le carezze e fugge le percosse? Se poni

mente alle persone, la carità colpisce, l’iniquità blandisce. Considerate bene quanto qui

insegniamo, che cioè i fatti degli uomini non si differenziano se non partendo dalla radice della

carità. Molte cose infatti possono avvenire che hanno una apparenza buona ma non procedono

dalla radice della carità: anche le spine hanno i fiori; alcune cose sembrano aspre e dure; ma si

fanno, per instaurare una disciplina, sotto il comando della carità. Una volta per tutte dunque ti

viene imposto un breve precetto: ama e fa’ ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia

che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona

per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il

bene.

711 2. 11. Se volete conservare la carità, fratelli, innanzitutto non pensate che essa sia

avvilente e noiosa; non pensate che essa si conservi in forza di una qual mansuetudine, anzi di

remissività e di negligenza. Non così essa si conserva. Non credere allora di amare il tuo servo,

per il fatto che non lo percuoti; oppure che ami tuo figlio, per il fatto che non lo castighi; o che

ami il tuo vicino allorquando non lo rimproveri; questa non è carità, ma trascuratezza. Sia

fervida la carità nel correggere, nell’emendare; se i costumi sono buoni, questo ti rallegri; se

sono cattivi, siano emendati, siano corretti. Non voler amare l’errore nell’uomo, ma l’uomo; Dio

infatti fece l’uomo, l’uomo invece fece l’errore. Ama ciò che fece Dio, non amare ciò che fece

l’uomo stesso. Amare quello significa distruggere questo: quando ami l’uno, correggi l’altro.

Anche se qualche volta ti mostri crudele, ciò avvenga per il desiderio di correggere. Ecco perché

la carità è simboleggiata dalla colomba che venne sopra il Signore (cf. Mt 3, 16). Quella figura

cioè di colomba, con cui venne lo Spirito Santo per infondere la carità in noi. Perché questo? Una

colomba non ha fiele: tuttavia in difesa del nido combatte col becco e con le penne, colpisce

senza amarezza. Anche un padre fa questo; quando castiga il figlio, lo castiga per correggerlo.

Come ho detto, il mercante, per vendere, blandisce ma è duro nel cuore: il padre per

correggere castiga ma è senza fiele. Tali siate (La carità ci fa vedere Dio) anche voi verso tutti.

Ecco, o fratelli, un grande esempio, una grande regola: ciascuno ha figli o vuole averli; oppure,

se ha deciso di non avere assolutamente figli dalla carne, desidera per lo meno averne

spiritualmente: chi è che non corregge il proprio figlio? Chi è quel padre che non dà castighi (cf.

Eb. 12, 7)? E tuttavia sembra che egli infierisca. L’amore infierisce, la carità infierisce: ma

infierisce, in certo qual modo, senza veleno, al modo delle colombe e non dei corvi. Questo mi

ha ricordato, fratelli miei, di dirvi che quei violatori della carità hanno operato scisma: come

odiano la carità, così odiano la colomba. Ma la colomba li accusa: essa proviene dal cielo, i cieli

si aprono, resta sopra la testa del Signore. E perché? Per udire: Questi è colui che battezza (Jn

1,33). Allontanatevi, o predoni; allontanatevi, o invasori della proprietà di Cristo. Nelle vostre

proprietà, dove volete fare da padroni, avete osato affiggere i titoli del Signore. Egli conosce i

suoi titoli; rivendica la sua proprietà; non distrugge i titoli, ma entra e prende possesso. Così

non viene distrutto il battesimo di chi viene alla Chiesa Cattolica, affinché non venga distrutto il

titolo del suo Re. Ma che cosa avviene nella Chiesa Cattolica? Il titolo viene riconosciuto; il

possessore entra sotto i suoi propri titoli, là dove il predone entrava con titoli non suoi.

Simili a Dio se preghiamo per i nemici

903 3. Questo è il segno che in noi l’amore di Dio ha raggiunto la perfezione: l’aver fiducia nel

giorno del giudizio. Perché abbiamo fiducia? Perché come lui è, così anche noi siamo in questo

mondo (1Gv 4,17). Tu hai così conosciuto il motivo della tua fiducia: che cioè noi siamo, in

questo mondo, così come egli è. Non pare che qui Giovanni abbia detto qualcosa di impossibile?

Può l’uomo essere come Dio? Già vi ho spiegato che questo come non sempre equivale ad

uguaglianza ma corrisponde ad una certa similitudine. Sarebbe come se si dicesse: questa

immagine ha orecchie, come le ho io. Evidentemente questo paragone non comporta una stretta

eguaglianza e tuttavia tu lo esprimi col “come”. Ma se noi siamo fatti ad immagine di Dio, perché

non siamo come Dio? Siamo immagine di Dio secondo il modo umano, non nell’uguaglianza

perfetta. Da dove dunque ci deriva la fiducia nel giorno del giudizio? Da questo: che noi siamo,

nel mondo, così come egli è. Ma questo motivo deriva dalla carità e dobbiamo comprenderlo

bene. Dice il Signore nel Vangelo: Se voi amate quelli che vi amano, quale ricompensa vi

meritate? Non fanno così anche i pubblicani? (Mt 5, 46). Che cosa vuole da noi il Signore? Io vi

dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori (Mt 5, 44; Lc 6, 27). Se comanda di

amare i nemici, quale esempio ci dà? Quello di Dio stesso. Dice ancora il Signore: Affinché siate

figli del Padre vostro che sta nei cieli. In che modo Dio ci dà questo esempio? Egli ama quelli che

gli sono nemici perché fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli

ingiusti (Mt 5, 45). Se dunque Dio ci invita alla perfezione di amare i nostri nemici così come lui

ha amato quelli che lo odiano, questa appunto è la nostra fiducia nel giorno del giudizio, che

cioè noi siamo, in questo mondo, così come lui è; come lui ama i propri nemici, facendo sorgere

il sole su buoni e cattivi, mandando la pioggia su giusti ed ingiusti, così noi, poiché ai nostri

nemici non possiamo offrire il sole e la pioggia, offriamo le nostre lacrime pregando per loro.

Agostino, commento alla 1a Lettera di S.Giovanni

Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri

« Cristo ci ha affidato la parola della riconciliazione » (2 Cor 5,18). Paolo mette in evidenza la

dignità degli apostoli, mostrando la grandezza del compito loro affidato dal immenso amore di

Dio per noi. Pur avendo gli uomini rifiutato di ascoltare colui che egli aveva loro inviato, Dio non

ha lasciato libero corso alla sua ira, non li ha respinti per sempre ; ma continua a chiamarli

direttamente e per mezzo dei suoi ministri. Chi potrebbe convenientemente esaltare tanta

sollecitudine ? Hanno immolato il Figlio venuto per riparare le loro offese, il Figlio suo unico e

consustanziale, e il Padre non ha respinto i suoi uccisori, non ha detto : avevo loro inviato il

Figlio mio e, non contenti di non ascoltarlo, l’hanno messo a morte crocifiggendolo : è giusto

che li abbandoni. Ha fatto invece tutto il contrario. E dopo che il Cristo ha lasciato la terra, noi

siamo stati incaricati di sostituirlo : « Ha affidato a noi il ministero dellariconciliazione. È stato

Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe. »

O carità infinita! Tu superi ogni intendimento! Chi è l’offeso? Dio stesso. Chi fa il primo passo

per la riconciliazione ? Ancora lui… Se Dio avesse voluto chiedercene conto sarebbe stata finita

per noi, poiché « tutti eravamo morti » (2 Cor 5,14). Ora, nonostante il numero immenso dei

nostri peccati, non soltanto non ce ne ha fatto pagare il fio, ma ha voluto addirittura

riconciliarsi con noi : non contento di abbandonarci il debito, non l’ha tenuto in alcun conto.

Questo è il modo col quale dobbiamo perdonare i nostri nemici, se vogliamo assicurarci il

perdono di Dio. « Egli ha affidato a noi la parola della riconciliazione».

Giovanni Crisostomo

Il rispetto e l’amore per gli avversari

Il rispetto e l’amore deve estendersi pure a coloro che pensano o operano diversamente da noi

nelle cose sociali, politiche e persino religiose, poiché con quanta maggiore umanità e amore

penetreremo nei loro modi di sentire, tanto più facilmente potremo con loro iniziare un

colloquio. Certamente tale amore e amabilità non possono in alcun modo renderci indifferenti

verso la verità e il bene. Anzi lo stesso amore spinge i discepoli di Cristo ad annunciare a tutti gli

uomini la verità che salva. Ma occorre distinguere tra errore, sempre da rifiutarsi, ed errante,

che conserva sempre la dignità di persona anche quando è macchiato da false o meno accurate

nozioni religiose. Solo Dio è giudice e scrutatore dei cuori ; perciò ci vieta di giudicare la

colpevolezza interiore di chiunque. La dottrina del Cristo esige che noi perdoniamo anche le

ingiurie, ed estende a tutti i nemici il precetto dell’amore, che è il comandamento della Nuova

Legge : “Udiste che fu detto : amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico :

amate i vostri nemici e fate del bene a coloro che vi odiano e pregate per i vostri persecutori e

calunniatori” (Mt 5, 43-44).

Dalla costituzione “Gaudium et Spes” del Concilio Vaticano Secondo

I cristiani amano anche i nemici

1. Nos quidem neque expavescimus, neque pertimescimus ea quae ab ignorantibus patimur, cum

ad hanc sectam, utique suscepta condicione eius pacti, venerimus, ut etiam animas nostras

exauctorati in haspugnas accedamus, ea quae Deus repromittit consequi optantes, et ea

quae diversae vitae comminatur pati timentes.

2. Denique cum omni saevitia vestra concertamus, etiam ultro erumpentes, magisque

damnati quam absoluti gaudemus. Itaque hunc libellum non nobis timentes misimus, sed vobis et

omnibus inimicis nostris, nedum amicis.

3. Ita enim disciplina iubemur diligere inimicos quoque et orare pro iis qui nos persequuntur, ut

haecsit perfecta et propria bonitas nostra, non communis. Amicos enim diligere omnium est,

inimicos autem solorum Christianorum.

4. Qui ergo dolemus de ignorantia vestra, et misere mur erroris humani, et futura prospicimus,

et signa eorum cotidie intentari videmus, necesse est vel hoc modo erumpere ad proponenda

vobis ea quae palam non vultis audire.

Tertulliano, Ad Scapulam, 1-4.

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A cura di Gino Prandina, fraternità dell’Hospitale e AxA Artesacravicenza, sito: artesacravicenza.org

I commenti teologici sono tratti dai manoscritti di H.U.V.Balthasar e e M.v.Speryr.; esegesi di Enzo Bianchi

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