Ci scrive Sr. Lucia Corradin nel luglio 2024 dal CARITAS BABY HOSPITAL DI BEtLEMME. L’esperienza vissuta finora, in particolare al Caritas Baby hospital di Betlemme, per ben 18 anni, mi ha permesso di sperimentare nella mia carne alcune caratteristiche dell’amore umano-divino che cercherò di descrivere… |
L’esperienza più intensa che ho vissuto a Betlemme è stata curando i prematuri ed educando i loro familiari nel reparto di Neonatologia, dove ho percepito l’intreccio tra la vita e la morte come una continua lotta per una vita vera, proprio per la chiara consapevolezza dell’essere creature fragili e limitate fin dal nascere, per la ricchezza di relazioni con i familiari e il personale, per le speranze incommensurabili abitate nei cuori di tutti e per la grinta manifestata da queste creature, così bisognose ma abitate di tanta voglia di vivere. Ripenso in particolare ai quei piccoli che ce l’hanno fatta e che poi sono venuti a farci visita dopo un anno, due anni; come anche ai primi bambini assistiti con malattie sconosciute e allo straordinario e faticoso lavoro d’equipe affinché la mamma potesse accogliere in maniera incondizionata la situazione del proprio figlio, come anche ai bambini più grandi che ripetutamente venivano ricoverati e quindi ogni volta era una festa ritrovarsi, riabbracciarsi e sperare con loro e per loro, lottando insieme per la vita. Si tratta di un lottare per imparare a crescere, a morire a sé stessi per divenire dono, capaci di prendersi cura dell’altro in modo olistico e a soffrire con l’altro e per l’altro portando insieme la croce con dignità e speranza. Soprattutto durante il coronavirus mi hanno toccato diverse storie di mamme e bambini malati, che hanno saputo vivere la malattia con dignità, con forza e non smettendo mai di sognare. Come quando si fa festa per ogni creatura che viene alla luce, perché abitati da una gioia immensa che non si può trattenere ma si vuole condividere, così per la sofferenza di ogni addio, si sente il bisogno di condividere il dolore e il vuoto per essere sorretti e sostenuti. E’ l’esperienza vera della comunione profonda e intima che ci fa sperimentare di essere grembo per gli altri e di essere a nostra volta accolti nel grembo dell’altro. Lavorando con arabi, sia cristiani che musulmani, sono stata affascinata dalla loro ospitalità, benevolenza, aiuto reciproco, dalla capacità di essere resilienti e di accogliere con fede granitica gli eventi della vita. La “lode a Dio!” ripetuto costantemente da loro, nella gioia e nella fatica, generando vita o seppellendo i loro cari, nella pace o nell’oppressione continua, mi ha insegnato cosa vuol dire fidarsi e affidarsi al Signore con semplicità e fiducia come un bimbo in braccio a sua madre. Sia la nascita di ogni nuova creatura come la morte di ogni caro sono tappe della vita che vanno celebrati al più presto, in modo solenne, coinvolgendo tutti i conoscenti e non solo il clan di appartenenza |